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lunedì 6 novembre 2017

Lo sport


Ci sono volte in cui dovremmo lasciarci andare, mollare con la testa, rilassarci, giocare con la fantasia e non pensare più a niente, semplicemente liberarci dai nostri limiti. Essere distratti.
Avere pensieri dispersi, vaghi. Respirare a pieni polmoni l’aria fresca, senza fretta e senza ansia.
Poi ci sono quelle volte in cui dobbiamo saperci concentrare e non mollare. Dobbiamo essere lucidi, attenti, pronti, scattanti, carichi.  
Questo dovremmo insegnare ai nostri figli, a distinguere un momento dall’altro, a non essere sempre forti e coraggiosi, indistruttibili e perfetti. A esserlo quando serve, nell’occasione giusta. E se poi l’occasione giusta non viene sfruttata nel modo adeguato non fa niente, pazienza. Ci sarà sempre un’altra opportunità per migliorarsi.
Ogni momento ha il suo valore.
E lo sport dovrebbe essere proprio questo, l’allenamento, il sacrificio, il sudore, la fatica, la concentrazione e la voglia di vincere, ma anche il divertimento, lo svago, un sorriso, una mano che ti rialza quando sei a terra, un incoraggiamento, un gioco.
Dovremmo tutti saper perdere e saper vincere.


lunedì 30 ottobre 2017

Quel che non sai di me - Recensione


Sono tornata. Troppo tempo è passato, tutta l’estate. Un’estate calda e afosa che ha prosciugato i fiumi, rinsecchito le piante, fatto solchi profondi nella nostra terra. Un’estate che ha bruciato le nostre pinete e indurito i nostri cuori. Un’estate strana, che si è fatta quasi odiare anche da persone come me, che amano l’estate.

Un’estate che però è stata creatrice,  compagna di viaggio nella nascita del mio primo libro “Quel che non sai di me”.
E’ un romanzo che è nato dall’esigenza di parlare agli altri, di raccontare qualcosa a un mondo che è sempre meno disposto ad ascoltare, sia per il tempo che manca, sia per il vizio umano di essere sempre più concentrati su noi stessi e le nostre infinite esigenze e necessità. Avevo bisogno di raccontare uno stato d’animo, di buttare fuori un’emozione che cercava di uscire ,ma non trovava il modo. L’ho trovato scrivendo. Scrivere mi riesce più facile che parlare perché mi dà il tempo di riflettere e trovare la parola giusta, che a voce spesso non arriva. Scrivere è più semplice perché non guardo negli occhi nessuno e non ho paura di dire cose che faccia a faccia non direi. E così mi apro, mi libero, butto fuori tutti i miei pensieri. Ecco perché sono arrivata alla scrittura, per necessità.




Questa è la storia di Nina, cresciuta a Grosseto tra le macerie dopo il bombardamento del 26 aprile 1943, quando gli aerei statunitensi colpirono il cuore della Maremma e centinaia di grossetani furono costretti a stravolgere le proprie esistenze e risollevarsi da una tragedia ancora più profonda se unita al dramma della grande guerra contro i nazifascisti. Il romanzo narra del rapporto di Nina con sua madre. Nina è ormai una donna adulta, forte e realizzata, che assiste l’anziana mamma ripercorrendo quegli anni tragici e mettendo a nudo le tante domande rimaste appese senza una risposta in una situazione familiare difficile. Le storie delle due donne si sono rincorse su binari differenti, tra le numerose divergenze che hanno portato Nina a preferire i libri a un destino di stenti e ignoranza. Scelte che hanno avuto un costo, motivazioni che finalmente la donna ha la possibilità di spiegare alla madre in una lunga confessione. Ho scelto di mettere la protagonista in una condizione di libertà assoluta, ovvero davanti a una madre malata che non può risponderle, in modo che non abbia nessun tipo di vergogna e di paura di una risposta. Questo perché troppo spesso abbiamo proprio timore di quella risposta, di quella replica secca e severa che non ci aspettiamo. Alla fine non si tratterà di un vero e proprio monologo di Nina, perché la mamma, anche se non può risponderle con le parole, lo fa con i gesti, con la bocca, con una smorfia o con un sorriso. Durante il racconto le due donne appaiono profondamente diverse e distanti, ma pagina dopo pagina si capisce quanto, in realtà, siano legate e quanto amore abbiano l’una per l’altra nonostante le diversità e le scelte di vita totalmente differenti.  Grazie a questa confessione Nina recupera il legame con sua madre e riesce ad accettare finalmente le proprie insicurezze e la propria vulnerabilità.



Questo è un libro dove emergono con forza le figure femminili, ognuna con una personalità ben definita, ognuna che rappresenta i modi in cui si può essere donna. Gli uomini invece fanno da sfondo e si emancipano, crescendo insieme allo sviluppo della protagonista. Il ruolo degli uomini sembra secondario, ma non lo è. E’ importante per Nina conoscere il lato negativo di alcuni uomini per convincersi che nessuno dovrà mai metterle le mani addosso e costringerla ad essere una donna diversa. Lei cerca l’uomo che l’apprezzi per come è, se stessa. Perché avere accanto l’uomo giusto può fare la differenza e gli uomini di questo romanzo fanno la differenza. Nel romanzo parlo della violenza sulle donne, ma non solo, tocco temi sociali come  l'isolamento, la povertà, il dramma degli sfollati, l'alcolismo, tutti argomenti vivi del periodo bellico e post bellico, che si ripropongono oggi più che mai nella quotidianità. Sono temi attuali che l’evoluzione della società negli ultimi cinquant’anni non ha purtroppo migliorato e che ci dovrebbero far fermare e riflettere.
In questo libro provo a ripercorrere la storia della Maremma attraverso alcuni eventi storici che sono nella memoria e nel patrimonio di tutti, cerco di recuperare il linguaggio maremmano, di rievocare tradizioni e mestieri non più esistenti come quello della pellaia. Leggendolo, avvertirete un forte attaccamento alle mie radici, alla mia terra, la Maremma.

Il romanzo è stato finalista alla IV edizione del Premio Letterario Nazionale Bukowski e terzo classificato al Premio Letterario Giovane Holden.



 


lunedì 29 maggio 2017

L'ALLENAMENTO

Ritorno alla normalità dopo il super torneo di beach volley.
Pineta, bungalow con la famiglia e due giorni no stop di mare tra importanti e forti atleti nazionali dello sport che più ci appassiona. Il beach volley.
Non eravamo solo spettatori, come quando si guarda la partita alla televisione, eravamo partecipanti, quindi giocavamo contro di loro.
L’abisso. Gioie e dolori.
I bambini che ti guardano e ti chiedono se hai vinto…
Ritorniamo alla normalità e riflettiamo a voce alta.
-         Allora Ines cosa hai imparato in questi giorni?
-         Mamma ho imparato che anche voi grandi avete voglia di giocare.
-         Brava amore!
-         Anche se mi sono un po' annoiata, non avevo le mie amichette.
-         Pazienza, amore, a volte ci si annoia un po', fa parte della vita. Anche io a volte mi annoio. Poi cosa hai imparato?
E allora le ho spiegato che nella vita si può anche perdere e che non si deve piangere se si perde, dobbiamo rimboccarci le maniche e allenarci per fare meglio.
Ci sono due tipi di sconfitte.
Quelle inevitabili, quelle non dipendono da te, perché giochi contro un campione e sai che non vincerai mai e allora dai il meglio di te stessa con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza.
Quelle evitabili, quelle che dipendono anche da te! e allora devi sudare, faticare, sgobbare. Perché quello che non hanno capito i nostri figli è il concetto dell’allenamento, dell’impegno, del sudore. Loro sanno già fare tutto, pensano di essere nati “imparati”, vai a spiegare loro quanto si sono allenati per camminare bene, per parlare la loro lingua o per imparare a leggere e scrivere.
Lascia stare i fenomeni che campano di rendita.
L’allenamento è esercizio, è preparazione, è pratica.  I nostri figli vorrebbero saper fare tutto e subito e soprattutto vincere. Fateli perdere i vostri figli quando fate una gara di corsa, siamo realisti, come possono pensare di vincere contro di voi che siete grandi ed avete le gambe più lunghe. Facciamo capire loro che per vincere devono allenarsi, devono provare, devono esercitarsi. Solo così verranno fuori figli che si impegnano per ottenere una vittoria, che non danno niente per scontato!
 
E alla fine la gioia più grande.
-         Mamma prendi la palla ci alleniamo insieme!
 
 



E che soddisfazione vincere dopo un buon allenamento e tanta fatica, fradici di sudore e con le gambe a pezzi !!!

 

venerdì 12 maggio 2017

Ci vorrebbe un po' più di leggerezza

Ci vorrebbe un po' più di leggerezza nella nostra vita.

Siamo sempre alla ricerca della perfezione, della realizzazione di noi stessi, per poi cadere in una classica crisi di ansia da prestazione.

Siamo sempre alla ricerca di qualcosa da fare, da incasellare nelle nostre giornate, nelle nostre ore, nei nostri fottuti minuti.

E’ l’organizzazione totale del nostro tempo.
Come mai? Di cosa abbiamo paura, di restare indietro, o di annoiarci?
A volte è bello annoiarsi. Lo dico anche ai miei bimbi, in preda ai momenti “ e ora che si fa?” Ci annoiamo. Restiamo fermi senza fare nulla, magari a pensare, magari a non pensare.
Ssss Silenzio.




Si chiama leggerezza. È quella cosa che fa camminare a piedi nudi nell'aria, che aiuta a tralasciare i dettagli, che rende i pensieri soavi. È quella sensazione di non dover sempre programmare. È quel senso di libertà. È il vento che spettina i capelli e va bene così, anche con i capelli spettinati.

Sì, ci vorrebbe proprio un po' più di leggerezza.
 

giovedì 20 aprile 2017

La differenza che fa la differenza

A questo mondo non tutte le zucchine sono uguali alle altre e neppure le patate e i cetrioli. Si chiama varietà e la varietà andrebbe accettata. È la differenza che fa la differenza. Esiste. Poi se vuoi la assaggi sennò no. E ti può piacere oppure no. Se ti piace la rimangi sennò no. Sarebbe così facile.
 
 
 
E invece non è così semplice accettare la diversità. La differenza ci fa paura perché non rientra nella normalità. Ma cos'è la normalità? Chi decide ciò che è normale da ciò che non lo è?
Allora vado nel vocabolario e leggo: persona normale, che si comporta come la maggioranza.
 
Quindi se quasi tutti i ragazzi sono sempre con il telefonino in mano e non si guardano più negli occhi, vuol dire che sono tutti normali? Se quasi tutti i fumatori buttano le cicche per terra, è normale? Se quasi tutti pensano che un immigrato è un delinquente, è normalissimo? Se tutti fanno i furbi, allora è normale essere furbi, perché lo fanno tutti?
 
Insomma sono confusa.
 
Penso che devo trovare le parole giuste per far capire ai miei figli che quello che fanno tutti non è per forza il meglio. Glielo spiego. Ci provo, ma poi continuano a chiedermi le scarpe di Spiderman o fanno i confronti con i compagni di banco.
 
Questa necessità di somiglianza, di conformità è troppo forte.
 
Poi però mi viene in mente che anche io sono stata paninara e poi figlia dei fiori. Che anche io seguivo le mode ed ero felice se io e le mie amiche eravamo tutte innamorate del solito ragazzo. 
Mi ricordo che dopo arrivò il momento del diverso. Facevamo a gara a chi era più stravagante, più particolare, più strano. Ma si trattava comunque di omologazione. La normalità della diversità. Eravamo tutti diversamente normali. 

Allora ci penso e dico. Forse è meglio predicare il giusto, piuttosto è meglio raccontare le nostre vite, le nostre esperienze, quelle belle e quelle brutte. Forse è meglio far parlare i fatti e dare l'esempio. L'esempio di essere noi stessi, di non essere né uguali né diversi agli altri. Di essere semplicemente Silvia o Ines o Rocco. Di dire quello che pensiamo senza vergogna e di vergognarci solo a fare cose brutte. 
 
La nostra piccola rivoluzione deve partire dentro di noi, stare bene con noi stessi, a prescindere dai giudizi degli altri. Così possiamo fare la differenza.
 

martedì 21 marzo 2017

Il coraggio di ripartire

Abbiamo avuto finalmente il coraggio di ripartire... coraggio sì perché quando si smette, dopo tanti anni, si rischia di perdere l’abitudine. Non è facile iniziare di nuovo, fare il primo passo.
 
Non è stato così semplice decidere di lasciare i bambini con i nonni e non portarli dietro, perché alla fine è anche bello condividere con loro le emozioni.

Ma a questo giro no, avevamo bisogno di partire, insieme e da soli.  Avevamo solo bisogno di non avere orari né regole. Di non avere limiti. Di programmare il minimo indispensabile. Di camminare senza sosta, di fare il bagno nei fiumi, di fare l’amore di pomeriggio, di mangiare piccantissimo, di stare in silenzio nel deserto.

Sì perché il silenzio è importante, bisogna saperci stare nel silenzio, non averne paura.

 
L’Oman mi ha ridato il senso di libertà che mi apparteneva totalmente quando vagabondavo per le strade, lungo i miei viaggi. L’Oman mi ha fatto capire quanto è stato bello stare da sola con Pietro e quanto è stato altrettanto bello tornare a casa dai bambini, tra le nostre quattro mura, a fare la lotta sul lettone.

Impresse nella mia mente tante emozioni, sguardi, profumi, sapori.
Marcati nel mio cuore gli abbracci dei miei piccoli.

E oggi, che è il giorno in cui inizia una nuova primavera, l'ennesima primavera, oggi inizia una nuova consapevolezza, quella di dover sempre avere il coraggio di ripartire, in qualsiasi circostanza.  Perché solo se si riparte, si aprono nuovi orizzonti, nuove strade e nuove emozioni, non certo nell’immobilità.

E allora è venuto il momento di guardarci intorno e di ripartire, sempre.
 
Suk di Muscat
 
 
Piantagioni di datteri a Misfat - Oman

  
 
 
 
Wadi Shab e Wadi Bani Khalid - Oman
 
 
 




 
Wahiba sands - Oman

 
 
Spiagge di Sur - Oman



Sultan Qaboos Grand Mosque a Muscat - Oman 
 

 

 

 
 

venerdì 3 febbraio 2017

Sono salita sul palco


Qualche giorno fa mi sono incontrata con il gruppo del teatro "Né Arte Né Parte" di Arcidosso http://www.compagniateatrale.it. L'occasione era speciale, riguardare insieme lo spettacolo de "LA DAME DE CHEZ MAXIM" che veniva trasmessa su TV9. 

Ci siamo incontrati e ho riabbracciato tutti i miei compagni. Li ho guardati dritti negli occhi, quegli occhi che hanno condiviso con me tante emozioni, ed ho riconosciuto uno ad uno tutte quelle persone che mi hanno dato così tanto.
 

Ho iniziato per puro caso e sono rimasta per molti anni - Cercasi tenore (2002) di Ken Ludwig – Le sorprese del divorzio (2003), Il letto ovale (2004) di Cooney e Chapman, Un giardino di aranci fatti in casa (2006) di Neil Simon, Operazione Hans (2006) di Chapman e Pertwee, La Dame de Chez Maxim (2007). Sapete perché sono rimasta? Perché con loro ho trovato subito un fondamento di vita, un insegnamento, un sostegno e un segno di amicizia inequivocabile. 

A volte fai le cose per caso e ti cambiano la vita. Quella è stata una esperienza che mi ha rafforzato le spalle e al tempo stesso mi ha consentito di lasciarmi andare, lasciando nel cassetto schemi e pregiudizi. E tutto a prescindere dalla semplicità di quello che mettevamo in opera, quello è la parte esteriore, io parlo delle emozioni.
 

Sul palco ho capito che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse: il mondo appare diverso da lassù, è proprio quando si crede di sapere qualcosa, che dobbiamo guardarla da un’altra prospettiva, anche se ci può sembrare sciocco o assurdo, ci dobbiamo provare. 
 

A volte dobbiamo smettere di essere spettatori ed avere il coraggio di salire sul palco, il coraggio di far sentire la nostra voce anche se non è bella o profonda come vorremmo, il coraggio di mostrare il nostro corpo anche se ci sembra grasso o imperfetto, il coraggio di avere la luce puntata dritta negli occhi anche se sei timido e ti vergogni come un cane. Dovreste provare a salire e sentire come batte il cuore e come tremano le ginocchia, è un’emozione che si rinnova ogni volta.

Da lassù tutto è diverso, la prospettiva è diversa, non hai ostacoli davanti, vedi tutti, vedi tutto, in profondità.
 

Da lassù ti prendi il diritto di non essere più te stesso, lassù sei un’altra persona e ti prendi anche il lusso di capirla, perché imparare una parte non significa imparare a memoria un copione e recitare una successione di parole, no, tu entri nel pensiero di un altro!
 

Dovreste provare a salire e sentire cosa si prova ad identificarsi in un’altra persona, non lo facciamo mai nella vita! Siamo bravi a criticare, ma non ad immedesimarsi negli altri. L'empatia è caratteristica di pochi!
 

E quando non ti ricordi più il copione? Quando tutto diventa buio davanti agli occhi e ti senti perso? Qui si improvvisa!  Troppo spesso nella vita si ragiona, si pensa, si riflette a tutte le conseguenze del caso, no no no, qui no! Qui si improvvisa, si inventa e sennò….. arriva sempre qualcuno da dietro le quinte ad aiutarti, con una voce, con un gesto, con uno sguardo.
 

Perché fare teatro è fare gruppo, lassù non siamo soli, lassù siamo tutti insieme e se per caso sbagli qualcosa nessuno si arrabbia, casomai si ride!
 

Lassù ci si mette in discussione, con un po' di paura, ma alla fine che ci importa quel che pensa la gente…… Ditemi la verità, cambia davvero qualcosa se qualcuno nella vostra vita pensa che tu non sia stato davvero bravo? Ma che ce ne frega….


 


 Vi voglio bene!